Cassazione Civile n. 29840/2023 del 27.10.2023 in tema di abusiva concessione del credito

a cura di Giuseppe Sorvillo

Con ordinanza n. 29840/2023 del 27 ottobre u.s. la Corte di Cassazione è ritornata ad esprimersi in tema di abusiva concessione del credito che si configura allorquando l’erogazione venga effettuata, con dolo o colpa, ad un’impresa che si palesi in una situazione di difficoltà economico-finanziaria ed in assenza di concrete prospettive di superamento della crisi.
La vicenda trae origine dalla domanda di insinuazione al passivo ex art. 93 L.F. presentata dall’istituto di credito nell’ambito di una procedura fallimentare pendente presso il Tribunale di Rimini, con la quale demandava agli organi della procedura di accertare il credito derivante dalla concessione di un’apertura di credito in conto corrente assistita da ipoteca volontaria, in favore della società in bonis per la realizzazione di una vasta porzione di terreno edificabile.
La domanda veniva rigettata dapprima dal Giudice Delegato e, successivamente, dal Tribunale in sede di opposizione ex art. 98 L.F., in quanto, dalla documentazione acquisita, si desumeva che l’istituto di credito aveva fatto luogo all’erogazione di credito in favore della società “allorché era patente lo stato di insolvenza” e che, dunque, la Banca era da ritenersi “concorrente con gli organi di gestione e di controllo nell’aggravamento del dissesto patrimoniale e finanziario”.
L’istituto di credito ha quindi proposto ricorso per Cassazione denunciando, segnatamente, che la società, poi fallita, non versasse in uno stato di insolvenza al momento dell’erogazione dell’apertura di credito (né successivamente); che, contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale, non vi fosse un nesso di causalità tra il finanziamento erogato e il depauperamento del patrimonio sociale, nonché la circostanza che il finanziamento concesso ad una società in stato di insolvenza non è di per sé foriero di responsabilità e ben può inserirsi in una strategia volta al risanamento dell’azienda ed al conseguimento di utili.
Con l’ordinanza in esame, la Suprema Corte ha accolto il ricorso promosso dalla Banca per vizio di motivazione apparente del decreto impugnato, in quanto il giudice di merito, pur individuando gli elementi da cui ha desunto il proprio convincimento, non ha fornito una approfondita disamina logico/giuridica.
A parere degli Ermellini, il giudice di merito avrebbe dovuto procedere con un puntuale vaglio della situazione economico- patrimoniale della società, in particolare verificando i netti patrimoniali e della relativa evoluzione, alla luce degli utili ovvero delle perdite, registrate nel periodo compreso tra l’ultimo bilancio disponibile anteriore l’erogazione del finanziamento e la data di apertura della procedura concorsuale, solo in tal caso potendo dare riscontro al concreto impatto dell’erogazione creditizia, sia in dipendenza dell’eventuale stato di crisi in cui già versava la società al momento dell’operazione contestata, sia in dipendenza dell’eventuale palesarsi – sulla scorta di una prudente valutazione ex ante – di concrete prospettive di superamento della crisi.